Gen 15, 1-6; 21,1-3 Eb 11,8. 11-12.17-19 Lc 2,22 -40
OMELIA
Nel mistero dell'incarnazione la Chiesa ci ha indicato nel mistero di Gesù la bellezza di essere uomini. Il Verbo si fa carne e l'umanità ritrova la strada per la sua identità. Questo grande dono, che ci è offerto, oggi viene sviluppato attraverso l'immagine della Santa Famiglia. Tale immagine ci è presentata nelle prime righe del brano evangelico che abbiamo ascoltato. Gesù, secondo la tradizione ebraica, dopo otto giorni è stato circonciso, è entrato a far parte del popolo di Dio e questa esperienza alla quale Gesù è chiamato è ritradotta nel modo con il quale si comporta la famiglia di Nazareth. Noi cogliamo tre aspetti di questo comportamento, che ritraduce la vitalità del rito della circoncisione:
-
stare alla
presenza di Dio nel tempio;
-
nel tempio
rivivere la storia di Dio;
-
facendo
della propria esistenza un sacrificio a Dio gradito.
È la
liturgia della vita! Cerchiamo di cogliere questi tre aspetti che l'evangelista
Luca ha sintetizzato in questa semplice narrazione.
Il bambino
Gesù, che fa parte del popolo di Israele, è condotto al tempio perché la
bellezza di appartenere a Dio si manifesta nello stare alla presenza di Dio, si
ritraduce nell'entrare nella gloria di Dio, nell'essere avvolto dalla fedeltà
divina che qualifica chiunque appartenga a Israele. Andare al tempio, entrarvi, è avvertire la
bellezza di essere rigenerati dalla potenza che viene dall'Alto, è ritrovare la
gioia e la bellezza dello stare davanti a Dio. È quella dinamica di relazione
che caratterizza il pio ebreo, il quale, nella realtà del tempio, ritrovava se
stesso perché lì abitava la gloria di Dio. Tutto questo ha immediatamente un
riflesso dal punto di vista esistenziale oggi: Gesù è stato circonciso - noi
veniamo battezzati, perché la nostra esistenza sia uno stare davanti a Dio. È
la convinzione più profonda che il discepolo è chiamato ad assumere: “Sono
nella nube della Santissima Trinità”. Ecco il primo aspetto che emerge da
questo atteggiamento rituale della Santa Famiglia per la nostra esistenza
cristiana: essere alla presenza della Santissima Trinità, vivendone la
relazione continua, per ritrovare la bellezza di esistere.
Ma entrare
nel Tempio significa anche fare memoria della storia della salvezza. Il rito che Giuseppe e Maria con Gesù
celebrano si richiama all'esperienza dell'esodo, all'esperienza di Dio che ha
liberato il suo popolo, di Dio che, attraverso la decima piaga, la piaga della
morte dei primogeniti, ha evidenziato che i figli di Israele sono la sua
storia. Giuseppe e Maria in quel rito mettono in luce che la storia di quel
bambino sarà la storia di Dio, come il battezzato viene introdotto nella storia
di Dio. Nel momento nel quale è collocato nelle acque battesimali, quel bambino
è diventato la storia vivente del dono della salvezza, e quindi la bellezza di
percepire che la nostra identità di uomini non è solo vivere abitualmente
davanti al Signore, come criterio fondamentale, ma siamo chiamati a vivere
l’oggi di Dio che ci rende creature nuove. La nostra storia è un meraviglioso
sacramento, segno di Dio, che lentamente ci trasfigura in una prospettiva di
eternità beata.
Da tali
considerazioni affiora il terzo passaggio, il momento dell'offerta, dove,
attraverso il portare quei doni, Giuseppe, Maria e Gesù cantano la loro
gratitudine. Non solo vengono inseriti nella storia di Dio, ma attraverso quel
semplice gesto, provano la bellezza di rendere grazie a Dio e vivere il
sacrificio a Dio gradito, dove il sacrificio non è nient'altro che quel mistero
di comunione ricco di rendimento di grazia.
È la vita del cristiano che, immerso nella gratuità di Dio, canta la sua
gratitudine e il cantare la gratitudine è diventare persone in cui è la
fecondità di Dio.
Cogliendo
questi tre momenti, la famiglia di Nazareth ci aiuta a dilatare la bellezza
della nostra umanità. Immersi in Dio, siamo la vivente storia di Dio, viviamo
quel feriale come il mistero di Dio, che si incarna continuamente, attraverso
la concretezza della vita, in un atteggiamento di oblazione, regalandoci a Dio
nella costruzione del feriale. È quella che abbiamo chiamato la liturgia della
vita. Noi qualche volta abbiamo dimenticato di arricchire la vita quotidiana
attraverso la semplicità del cuore, che si sente amato da Dio. Spesse volte noi
cadiamo nel rischio di una frattura tra l'essere in casa e l'essere in chiesa,
come se fossero due realtà distanti l'una dall'altra. La bellezza di essere in
chiesa è l'espressione della bellezza di essere ogni giorno in questo rapporto
trinitario nelle piccole cose che noi facciamo, in una meravigliosa continuità:
l'ordinario vissuto e celebrato nel rito, perché l'ordinario sia ancora più
vissuto nelle quotidiane e misteriose meraviglie di Dio.
Questo
semplice atteggiamento di Maria e Giuseppe che presentano Gesù al tempio
ritraduce quello che dovremmo essere nello stile feriale della nostra vita. Al
mattino alla presenza di Dio, iniziamo la giornata alla luce della storia di
Dio, per offrire i frutti della quotidiana vicenda umana alla gloria delle tre
Persone divine. Allora, se noi costruissimo così la nostra esistenza,
realizzeremmo in modo vero e autentico la nostra identità di uomini. Dio ci ha
creati, ci ha immersi nel Figlio Gesù Cristo perché nello Spirito Santo, nelle
piccole azioni di una vita di casa, rendessimo la casa, le azioni e le
relazioni che la caratterizzano, un sacrificio a Dio gradito. Entriamo in
questa esperienza che ci permette di realizzare la nostra umanità.
Per questo
l’Eucaristia, che stiamo celebrando, è l’espressione rituale e sacramentale di
quello che facciamo tutti i giorni, con un meraviglioso vantaggio: nell’Eucaristia
in modo particolare veniamo radicalmente rigenerati, perché le concretezze del
quotidiano siano l’espressione semplice, essenziale di un cuore che si lascia
abitare dalle tre Persone divine. Semplicità, essenzialità, sobrietà: la casa
di Nazareth. Essenzialità, semplicità, sobrietà: la vita in famiglia e i riti
che noi celebriamo in chiesa, per rendere la nostra vita veramente un
sacrificio a Dio gradito, per la salvezza dell’intera umanità.
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