29 novembre 2020

I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)

Is 63,16b-17.19b; 64,2-7 1Cor 1,3-9       Mc 13,33-37

OMELIA

Celebrando la solennità di Cristo, Re dell'universo, siamo stati orientati verso la pienezza della gloria e questa pienezza della gloria è il desiderio dei nostri desideri, è la verità dell'uomo, che vive il presente tutto orientato verso il futuro. Paolo ci ha detto in modo molto chiaro che siamo in attesa della manifestazione gloriosa del Signore. Se la festa di Cristo Re ci ha collocati nella pienezza divina, il tempo dell'Avvento è il tempo del dilatare questo desiderio nella concretezza quotidiana, per giungere a contemplare eternamente il suo volto. È un'attesa che è carica di una pienezza e che vive di tale pienezza. La bellezza del presente è l'orientamento verso il futuro. Immersi in tale dinamismo, ci poniamo la domanda: “Come possiamo proiettarci verso questa pienezza gloriosa, quando il Signore rivelerà tutta la sua gloria e saremo nell'armonia universale?”.

L'apostolo Paolo ci ha detto in modo molto chiaro che siamo stati arricchiti di tutti i doni, che abbiamo la pienezza di Cristo e dei doni dello Spirito Santo. “In lui siete stati arricchiti di tutti i doni...La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente, che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo”. Il tendere verso il mistero glorioso, che ci sta aspettando in paradiso, nasce dalla presa di coscienza che noi siamo già un capolavoro. È il Signore stesso che nella nostra persona ci fa tendere continuamente in avanti, perché la bellezza della nostra vita è glorificarlo per sempre. Ecco perché il cristiano avverte nella propria storia questo intenso desiderio di vedere il Signore. Ora noi lo contempliamo nella fede, lo contempliamo nella gestualità feriale, lo contempliamo nell'azione sacramentale, ma questa contemplazione deve diventare “tensione”. Quando noi siamo stati battezzati e siamo stati ricolmati della pienezza divina, in quel momento siamo stati chiamati a “contemplazione”, dove la contemplazione è l'orientamento del nostro cuore verso una pienezza, è la bellezza di quel “TU” di Cristo che opera in noi e si fa attendere nella grandezza del suo Mistero. È il Signore che sta aspettando ognuno di noi nel mistero della gloria. Questa sicurezza si fonda sulla consapevolezza che lui è il Signore dentro di noi: è quell’ Invisibile che anima il visibile. Anzi è talmente forte e determinante questa presenza dell'Invisibile, che tutto ciò che facciamo, le realtà che tocchiamo, le scelte che operiamo sono impregnate dell'Invisibile, per cui tutta la nostra vita è una tensione verso la gloria. Un simile processo può effettivamente realizzarsi perché questa pienezza è il calore di Dio nel nostro cuore. La sua presenza è calore, è qualcosa che è dentro di noi e ci dà l'agilità di proiettarci in avanti. È un calore che illumina l'intelligenza, la quale brama d'entrare nel Mistero, per essere veramente realizzata. Il tempo dell'Avvento è il Signore che si fa desiderare nella pienezza della gloria.

Davanti a questo grande sviluppo interiore, il richiamo da parte di Gesù nel Vangelo, “Vegliate!”, è la presa di coscienza della nostra radicale povertà. Sicuramente il desiderio dell'incontro glorioso è il fascino della nostra vita. Ben sappiamo che dobbiamo passare dall'Invisibile sacramentale all'Invisibile contemplato nel paradiso, ma tutto questo passa attraverso quel "Vegliate!", attraverso quella coscienza della radicale povertà della nostra vita. Infatti, quando noi vogliamo che il divino operi nella nostra storia, dobbiamo avere la convinzione profonda dei nostri limiti, la gioia dei nostri limiti, la gioia della nostra povertà, la gioia anche delle oscurità che tante volte ci attanagliano, perché l'uomo, che con coraggio accoglie il suo limite, diventa il luogo della libertà di Dio. Qui noi entriamo in un mistero che dovrebbe allietare la nostra esistenza. Come possiamo attendere questo Signore glorioso, che ci manifesterà la luminosità della sua persona e ci collocherà in quella comunione con il Padre e con lo Spirito Santo per tutta l'eternità beata? L'uomo povero, che riconosce i propri limiti, è colui che lascia agire la libertà divina dentro di sé. Noi qualche volta ci sentiamo scoraggiati, perché siamo dei distratti nati e dimentichiamo questa creatività di Dio dentro di noi. È in certo qual modo la potenza della fede che ci dice: "Sii ostinato nel camminare verso la gloria, ponendo le tue fragilità nelle mani delle tre Persone divine". In simile clima esistenziale diventiamo una preghiera autentica e diamo alla luce la supplica, che sempre coltiviamo e che in modo particolare viviamo in questo tempo di Avvento con l'invocazione: “Vieni Signore Gesù!". Nella nostra ostinazione vogliamo giungere a percepire fino in fondo la pienezza della gloria di Dio. Vivendo questa triplice dimensione, intuiamo tre aspetti che qualificano la nostra esistenza: avere sempre davanti a noi chiaro l'orizzonte verso il quale stiamo andando; approfondire la percezione della creatività di Dio dentro di noi; costruire ogni istante del nostro percorso esistenziale in una vita di intensa supplica. La supplica è la bella liturgia dei poveri che bramano l’Assoluto, la supplica è il gusto del mistero che, mentre ci fa percepire e toccare i limiti del quotidiano, orienta la nostra esistenza a quel gridare "Vieni Signore Gesù!", perché la nostra vita non ha senso se non entriamo in questo mistero di gloria. La Parola di questa mattina, che dia veramente il senso dell'Avvento sia "il paradiso", questo mistero di luce che ci investirà, trasformandoci in una esperienza di luminosità senza fine.

Tutto questo è estremamente vero in questo momento. La bellezza di ritrovarci nell'Eucaristia è di chi desidera l'eternità beata. Noi spesse volte abbiamo dimenticato quello che è il cammino che la cultura antica ci ha offerto. Se guardiamo le chiese romaniche o paleocristiane, il centro di tutta l'architettura è sì l'altare, ma la sua conclusione è rappresentata dal catino absidale: il mistero della gloria eterna! Noi siamo in cammino nel tempo nell'Eucaristia e il Cristo ci rifà completamente, orientandoci verso la pienezza della gloria. Quando tra poco ci accosteremo all'Eucaristia, come dicevamo anche in altre domeniche, sentiremo quella espressione: “Beati gli invitati alla cena delle nozze dell'Agnello!”. Le nozze dell'Agnello sono la grande liturgia dell'Apocalisse, di una comunità che, continuamente guidata dallo Spirito, grida: “Vieni Signore Gesù!”. E lo sposo risponde: “Ecco, verrò presto". Qui troviamo la ricchezza dell'acclamazione: “Ecco l'Agnello di Dio!". Allora entreremo in questa profonda vivacità interiore, sapremo respirare una atmosfera di pienezza di gloria, che nel buio della storia ci dirà: “Sei veramente nella luce". È un paradosso che il cristiano è chiamato a vivere in profondità: più la storia ti pone nel buio, più il cuore è luminoso di eternità beata, perché ha il desiderio di anticipare quell'incontro finale verso il quale stiamo andando. E allora, in questa Eucaristia, pregustiamo l'eternità beata. Una volta abbiamo usato questa immagine, che è dell'evangelista Luca: come il Signore passi a servire i dodici apostoli nell'ultima cena, perché egli è il servo che si pone al servizio, distribuendo il pane eucaristico. Così noi pure, accogliendo questo pane eucaristico, stiamo pregustando il momento in cui, nell’eternità, il Signore stesso passerà a rivestirci eternamente di quelle vesti candide, che ci porteranno alla gloria eterna, che non si concluderà mai. Viviamo così questo tempo di Avvento, in questo desiderio di pienezza di gloria, nella certezza che colui che attende in noi è il Signore stesso. Egli ci stimola ad andare avanti, perché vuole che giungiamo tutti a quel passaggio, che ci permette l'accesso al suo volto, in cui eternamente canteremo la gioia di appartenere con tutti noi stessi alla radiosità della gloria trinitaria, che non avrà mai fine.

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