16 novembre 2020

XXXIII DOMENICA T.O. - (ANNO A)

Pr 31,10-13.19-20.30-31             1Ts 5,1-6                  Mt 25,14-30

OMELIA

Il cristiano è in cammino verso la pienezza della gloria, verso quell'incontro glorioso nel quale noi saremo immersi nella luce che non conosce tramonto. Tutto questo itinerario passa attraverso tre caratteristiche che Gesù questa mattina ci regala attraverso la sua parola: il senso della riconoscenza, il gusto dello stupore, la percezione delle nostre povertà. Sono tre elementi attorno ai quali ruota il cammino del cristiano che va verso il suo Signore, in modo che, quando egli verrà, noi saremo nelle condizioni per entrare nella sua gloria.

Il primo aspetto che ci è chiesto di costruire continuamente è il senso della gratitudine. Qualche volta, ascoltando il testo della parabola, siamo un po' tentati dai numeri: 5, 2, 1 talento. Questo è solo un linguaggio letterario per dire la varietà del regalarsi di Dio: ogni uomo è un capolavoro originale. Ora la bellezza della vita sta nel prendere coscienza che siamo un dono, un dono per il fatto stesso che esistiamo, un dono da sviluppare nella gratitudine. Quando l'uomo è davanti alla consapevolezza di essere grazia, gratuità, benevolenza, l'atteggiamento spontaneo è quello del rendere grazie, di fare in modo che la propria storia sia un canto di gratitudine. Dovremmo ritrovare la bellezza della vita al mattino, per poi, nel corso della giornata, davanti agli avvenimenti lieti o tristi, prendere coscienza che siamo nella benevolenza di Dio. È l'impegno di cui ha parlato la Sapienza nella prima lettura, delineando il volto di una donna impegnata nel mondo casalingo: quell’impegno è il canto della gratitudine. La bellezza nella quale siamo introdotti è questa profonda consapevolezza che il nostro vivere è in atto il darsi della fedeltà di Dio e ogni uomo, quando guarda se stesso con spirito puro, si sente un capolavoro divino-umano. È la generosità di Dio nei confronti dell'uomo, che genera la gioia di vivere: la gioia di essere il luogo della creatività delle tre Persone divine.

Ma questo senso di gratitudine passa attraverso lo stupore, dove lo stupore è l'espressione della libertà del cuore dell'uomo. Uno dei problemi dell'uomo è quello di ragionare troppo, calcolare troppo, costruire una vita tra dare e avere. La bellezza della vita è lo stupore, è coglierne la grandezza in un intenso clima di meraviglia. Uno scienziato è veramente tale, non quando definisce una formula geometrica o chimica o scientifica o fisica, ma quando, davanti a questa esperienza, è preso dallo stupore per il bello: una formula è una bellezza, tradotta matematicamente, dell’amore di Dio. Di conseguenza intuiamo come il cammino del cristiano sia ricco di stupore e quando l'uomo è preso dallo stupore avviene un fenomeno, nella persona, estremamente interessante: è nella libertà di Dio. L’uomo dello stupore esce dall’io, entra in un mistero e si lascia guidare da Dio. È la libertà creatrice dello Spirito Santo. L'impegno che ci ha dato da portare avanti nella storia è gustare la libertà di Dio. E l'uomo nello stupore sviluppa la sua libertà, perché nel fascino di Dio, nella grandezza creatrice del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, riscopre che ha dentro di sé delle potenzialità che Dio gli ha regalato e che, nella sua libertà liberata di uomo, sviluppa continuamente con gratitudine. È importante ritrovare questo stile di vita. Ogni giorno della nostra esistenza è la scoperta delle meraviglie che è l'uomo. Queste meraviglie ci rendono ricchi di stupore, ci permettono di poter respirare, di poter vedere la bellezza, di poter camminare con tanti fratelli: è una gratuità che ci riempie di stupore, soprattutto se abbiamo il gusto della purezza del cuore. Ognuno di noi è un capolavoro meraviglioso, ma incomprensibile. L'uomo che guarda dentro di sé e percepisce di essere la libertà creatrice di Dio e la grandezza della libertà dell'uomo non è nient'altro che lo stupore in azione. Non è la dedizione di quella donna di cui ci ha parlato il testo sapienziale?

E, poiché l'uomo nella concretezza della vita avverte i propri limiti, noi cogliamo la grandezza di Dio percependo che siamo uomini poveri, che siamo uomini limitati. Come possiamo rendere fecondo questo amore inesauribile di Dio, che ci dà i suoi talenti, consentendoci così partecipare alla sua esistenza, se non attraverso la coscienza che siamo poveri? Il povero ha coscienza del limite, si apre nello stupore alla bellezza della sua esistenza e dice: “Per pura gratuità sono un capolavoro!”. È uno stile di vita per cui, quando il Signore verrà, il giorno della sua venuta gli diremo: “Grazie, perché nella mia povertà hai fatto meraviglie!”. Dobbiamo proprio giocare sulla positività della nostra esistenza. Se noi riuscissimo a percepire la bellezza di questo agire divino in noi, ameremmo la bellezza di essere uomini: è il restituire a Dio la gioia di essere un dono, di essere uomini e donne. E allora ci accorgeremmo che l'esistenza nel suo sviluppo ha connotazioni che ci dicono che è bello vivere! Purtroppo, la tentazione a cui noi siamo soggetti è vedere le cose che non vanno, mentre Gesù, offrendoci una simile parabola, ci dice chiaramente: “Ricordati che sei il mio talento, sei la mia grandezza, sei la mia bellezza”. Quando noi abbiamo questo senso di positività nel cammino quotidiano, ci lasciamo guidare dalla storia e sappiamo che, a modo suo, anche se in modo strano, misterioso ma meraviglioso, Dio elabora la bellezza delle nostre persone. Quanto più gli anni passano, tanto più cantiamo la gratitudine a Dio, perché più gli anni passano, più ritroviamo l'essenzialità della vita: essere un dono di un Dio, che ha fiducia in un uomo ricco di povertà.

In questa Eucaristia entriamo in un profondo senso di gratitudine, nello stupore. Questa mattina vi accorgerete che c'è un piccolo cambiamento, quando proclamerò la preghiera eucaristica: incominceremo con un avverbio: “Veramente!”. Un simile avverbio traduce i tre passaggi della riflessione di questa mattina: siamo canto di gioia nella gratitudine; uno stupore vivente davanti alla bellezza di Dio; una povertà che si lascia illuminare dal Dio che non delude. L'Eucaristia è questo grande mistero dove noi coniughiamo, attraverso il pregare, queste tre verità. Di conseguenza, se sapremo costruire ogni nostro frammento della vita in tale clima eucaristico, ogni gesto che porremo sarà il segno concreto di questa esperienza interiore. All'insegna dei tre momenti di gratitudine, di stupore e di povertà, il Signore verrà in qualunque momento e ci dirà: “Presentami quello che ti ho regalato”. Noi gli diremo: “Grazie per la tua generosità, o Dio”. E allora la vita assumerà sfumature e atteggiamenti diversi, perché l'uomo che saprà coniugare questi tre elementi e gusterà la fecondità di Dio, avrà il coraggio nella vita, la bellezza del quotidiano, il desiderio di voler credere nella speranza, nella viva percezione di essere veramente un capolavoro.

Preghiamo perciò lo Spirito Santo, in questa Eucaristia, perché ci arricchisca della sua fecondità, in modo che possiamo dire al Padre, nell'incontro finale: "Mi hai dato 5, 2, 1 talento. Te li restituisco con gratitudine, perché con un simile atteggiamento sono diventato il volto luminoso del tuo Figlio". E allora il Padre ci dirà: "Entra nella mia gloria!". Una simile verità sia quello che ci deve sempre più affascinare e dare speranza, facendoci superare le paure dell'uomo di oggi, che è rinchiuso in se stesso e non si lascia spalancare da questa creatività di Dio che è la bellezza e la fecondità del nostro istante. Camminiamo, col cuore cantiamo la gratitudine. Anche se spesso gli occhi piangono, con il cuore cantiamo, pregustando quell'incontro finale, quando Gesù ci dirà: "Vieni nella gioia del tuo Signore".


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